Lo stress in utero favorisce la preferenza per la morfina in adolescenza

 

 

DIANE RICHMOND

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 12 marzo 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Una nozione acquisita e consolidata grazie a numerosi studi su animali è la vulnerabilità delle fasi precoci della vita alle influenze ambientali, e in particolare allo stress, responsabile di alterazioni funzionali dell’asse ipotalamo-surrene che possono permanere nella vita adulta. Il numero di studi che ha affrontato il problema della vulnerabilità nel corso della vita intrauterina è relativamente minore, e precisi confronti fra effetti dello stress prenatale e postnatale non sono frequentissimi. L’interesse per gli effetti precoci di agenti e circostanze stressanti è accresciuto dal fatto che fra le conseguenze di tali influenze negative sul sistema nervoso centrale vi è un provato aumento della preferenza per sostanze psicotrope d’abuso (droghe), quali la morfina e i suoi derivati. Tale accresciuta propensione al consumo di sostanze psicoattive, configura un parametro misurabile di uno stato neurobiologico tendente ad esprimersi con un comportamento a rischio di tossicodipendenza.

Luciana Taschetto Vey e colleghi hanno valutato l’influenza sulla fisiologia e sulla successiva preferenza per la morfina di situazioni paradigmaticamente stressanti in due fasi precoci dello sviluppo, l’una prenatale e l’altra post-natale (Vey L. T., et al., Stress during the gestational period modifies pupsemotionality parameters and favors preference for morphine in adolescent rats. Behavioral Brain Research 296: 408-417, 2016).

La provenienza degli autori è la seguente: Programma di Post-Graduati in Biochimica Tossicologica, Università Federale di Santa Maria, Città Universitaria di Santa Maria, RS (Brasile); Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia, Università Federale di Santa Maria, Città Universitaria di Santa Maria, RS (Brasile).

È interessante notare come la scoperta dell’influenza dell’ambiente, e perciò dell’esperienza, sulla metilazione del DNA possa cambiare il modo di concepire l’eziopatogenesi di numerosi disturbi psichiatrici, in particolare quelli associati all’ansia. Tradizionalmente nella psicopatologia di impronta psicologica si sono seguiti due fili logici principali, in gran parte impliciti nel metodo: il primo considerava la sintomatologia quale effetto reattivo di un’esperienza cosciente; il secondo considerava la mediazione dell’inconscio che, falliti i meccanismi di difesa, avrebbe sviluppato processi per certi versi simili a quelli del pensiero[1]. La psicopatologia traumatica da stress, come quella conseguente alla diretta esperienza di un evento traumatico, è un buon esempio del primo modello di patogenesi, mentre la nevrosi derivata da conflitti inconsci dell’infanzia e dell’adolescenza, esemplifica bene il secondo. Ora, sapere che l’esperienza modifica l’espressione di geni che assicurano componenti del funzionamento psichico ordinario, sposta l’attenzione su un livello più elementare di risposta, favorendo la riflessione su aspetti più radicali. Ad esempio, come ha reagito il cervello della persona con queste alterazioni alle stesse esperienze che in condizioni ordinarie sono sufficienti per garantire sostegno all’adattamento psicologico alla realtà? È possibile che ciò che normalmente è sufficiente, in questi casi divenga insufficiente o addirittura dannoso?

Rinviando per ipotesi e risposte alle elaborazioni che sono state proposte in questi anni agli incontri sul tema della nostra società, si ribadisce l’importanza di “un sapere che infrange il muro compatto delle formule psicologiche, rivelandone la natura di costruzioni”, come spesso affermato dal nostro presidente.

Se ragionare come se tutto ciò che è psichico - e in particolare ciò che è psicopatologico - dipendesse dai contenuti dell’esperienza psicologica ha portato nel secolo scorso ad ipotizzare il trauma della nascita e perfino dei processi mentali in utero simili a quelli dell’adulto, la scoperta di effetti diretti dell’ambiente su strutture e funzioni molecolari sposta l’attenzione sulla biologia dell’organismo. In particolare, le influenze esercitate prima della nascita dall’ambiente potrebbero essere identiche sul cervello umano e su quello di altri mammiferi, e non sarebbe necessario invocare presunti processi mentali del feto simili a quelli attribuiti dalla psicologia alla mente umana dopo la nascita.

La gravidanza è uno stato fisiologico che si accompagna a grandi modificazioni, che non riguardano solo gli apparati riproduttivo ed endocrino, ma interessa per vari aspetti il sistema nervoso centrale. Il cervello materno, in questo periodo, accresce le sue potenzialità e migliora le sue prestazioni cognitive; cambia anche la tendenza di fondo nelle risposte a stimoli ambientali intensi, con uno spostamento dell’asse dall’allarme che induce stress-paura all’allerta che accresce l’efficienza dell’elaborazione percettivo-cognitiva senza disturbo emozionale. Tali cambiamenti, espressi dalla fisiologia dei sistemi neuronici, sono riflessi nelle modificazioni cellulari e molecolari, che includono lo stesso DNA, e pongono all’attenzione dei ricercatori la specificità di risposta dell’unità materno-fetale, del cervello della madre e di quello del feto alle influenze dell’ambiente.

Luciana Vey e i suoi colleghi brasiliani hanno indagato l’effetto di situazioni standard in grado di causare stress in animali di laboratorio, esponendo i piccoli in due periodi precocissimi dello sviluppo: durante la vita intrauterina, attraverso la madre, e dal secondo giorno dopo la nascita per una settimana. Numerosi studi hanno rilevato la possibilità che definiti parametri neurochimici e comportamentali dell’età adulta possano essere la risultante di influenze ambientali operanti nelle fasi precoci dello sviluppo. In particolare, gli agenti stressanti in grado di influire sulla reattività emozionale sembrano essere in grado di determinare, a causa di una notevole vulnerabilità all’inizio della vita, una iperattività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene marcata e protratta, se non addirittura permanente. A tale rilievo fisiologico fa costantemente riscontro la dimostrazione sperimentale di un’alterata reattività comportamentale. Le modificazioni di assetto molecolare, cellulare e dei sistemi encefalici comportano anche un cambiamento non bene compreso della base neurobiologica del piacere e della motivazione, che si traduce in una preferenza più marcata per sostanze psicotrope che inducono addiction, come la morfina e i suoi derivati (diacetil-morfina o eroina, ecc.), ed altre droghe con azioni principali diverse. Vey e colleghi hanno indagato anche, mediante la preferenza di luogo condizionata (CPP, da conditioned place preference) dall’apprendimento dell’effetto della morfina, l’eventuale stabilirsi di una tendenza o predisposizione all’uso di oppiacei.

I metodi e i criteri impiegati sono già stati sperimentati e verificati in precedenti studi. Lo stress gestazionale (Gest-S) è consistito nell’esposizione di femmine di ratto in gravidanza a sessioni quotidiane di lieve stress cronico (CMS, da chronic mild stress). Lo stress post-natale (Post-NS) ha previsto l’esposizione di piccoli di ratto dal 2° al 9° giorno dopo la nascita (PDN, post-natal days), ogni giorno per un tempo fisso di 60 minuti. I ricercatori hanno separato e confrontato i due gruppi di animali, quello esposto allo stress in utero e quello esposto dopo la nascita, ottenendo risultati chiari e definiti.

Gli animali esposti all’inizio della vita ad una settimana di Post-NS mostravano una quota bassa di stati e comportamenti equivalenti all’ansia umana, nei tipici compiti di differenti paradigmi classici (elevated plus maze-EPM; defensive burying test-DBT), così come un aumentato comportamento esplorativo nella prova del “compito in campo aperto” (open field task-OFT). Tali osservazioni erano coerenti con bassi livelli plasmatici di corticosterone, l’ormone principale dello stress nei roditori, equivalente del cortisolo nell’uomo. Questi animali, all’osservazione comportamentale dell’esperimento di CPP per verificare lo stabilirsi di una predisposizione all’assunzione della sostanza oppioide, non hanno fatto registrare alcuna preferenza. Infine, i piccoli sottoposti a stress dopo la nascita hanno fatto registrare un basso incremento ponderale rispetto alla controparte stressata in utero.

Il gruppo di ratti esposti ad un’esperienza cronica di Gest-S comparabile per entità durante la vita intrauterina, ha fatto rilevare livelli plasmatici di corticosterone elevati, maggiore incremento ponderale e prestazioni ai compiti EPM, DBT e OFT totalmente in linea con prestazioni giudicate espressione di un elevato squilibrio funzionale, con eccesso di attività dei sistemi mediatori delle emozioni, e corrispondente ad uno stato ansioso umano. Oltre a queste manifestazioni, ordinariamente assimilate nella ricerca farmacologica alla sintomatologia dei disturbi d’ansia, questi giovani ratti all’osservazione comportamentale nell’esperimento di CPP, dopo 3 giorni di sospensione della morfina, hanno fatto registrare una marcata preferenza per la morfina.

I risultati emersi da questo studio indicano la straordinaria criticità del periodo gestazionale per i danni da stress alla fisiologia cerebrale che, secondo il paradigma costituito dall’organismo dei roditori, incidono nelle età successive e potenzialmente per tutta la vita. Al contrario, sembra che lo stress sperimentato dopo la nascita sia in grado di stimolare risposte neuroadattative che possono aiutare ad affrontare le conseguenze emozionali di esperienze negative precoci. Naturalmente, saranno necessari ulteriori studi che sperimentino variazioni di qualità, intensità e durata dello stress prenatale e postnatale, per confermare o confutare queste conclusioni.

Infine, Luciana Taschetto Vey e colleghi sostengono, sulla base di quanto emerso dalla sperimentazione, per i cui dettagli si rinvia alla lettura del testo integrale dell’articolo originale, che lo stress in gravidanza è in grado di modificare la risposta agli oppioidi durante la vita adulta e facilitare lo sviluppo di tossicodipendenza in caso di assunzione.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Diane Richmond

BM&L-12 marzo 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] L’inconscio patogeno di freudiana memoria.